Il trionfo di Clelia, Parigi, Hérissant, 1781

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Galleria corrispondente a diversi appartamenti.
 
 TARQUINIO solo
 
 TARQUINIO
 Dei! Scorre l'ora e col bramato avviso
405non giunge il mio fedele! Intorno al solo
 mal custodito ponte ognun raccolto
 esser dovrebbe. Un trascurato istante
 impossibil potria render di Roma
 la facile sorpresa. Ah qualche inciampo
410forse... Ma qual? Di me lor duce al cenno
 ubbidiscon le schiere; in Roma ognuno
 su la tregua riposa; Orazio immerso
 nel finto patto, in mente
 aver altro or non può. Qual dunque è mai
415l'ostacolo impensato? Ah troppo ingiusti
 sareste, o dei, se permetteste al caso
 di scompor sì bell'opra. Io re di Roma,
 possessor son di Clelia; io dell'infranta
 tregua il rossor rovescerò, se giova,
420sui ribelli romani; io... No, non posso
 più soffrir questo indugio. Il pigro avviso
 a prevenir si corra. (Nel voler entrare nella scena esce il messaggiero atteso) Eccolo. È pronto
 quanto v'imposi alfin? (Il messaggiero risponde accennando coerentemente al desiderio ed alla richiesta di Tarquinio) Lode agli dei.
 Va', pel cammin più corto
425precedimi, io ti sieguo. (Parte il messaggiero) Eccomi in porto.
 Ma non è quegli Orazio? È desso. Oh come
 mesto, lento e confuso
 s'avanza a questa volta. Alla sua bella
 l'immaginato patto
430va il credulo a proporre. Ei vada; e, mentre
 in teneri congedi
 si tormentano i folli e che non sono
 d'altra cura capaci, io volo al trono. (Parte)
 
 SCENA II
 
 ORAZIO solo
 
 ORAZIO
 
    Dei di Roma, ah perdonate
435se il mio duol mostro all'aspetto,
 nello svellermi dal petto
 sì gran parte del mio cor.
 
    Avrà l'alma, avrà la palma
 de' più cari affetti suoi;
440ma è ben dura anche agli eroi
 questa specie di valor.
 
 Alla tua tenerezza
 donasti Orazio assai; ceda una volta
 l'amante al cittadin. Si cangia in colpa
445ormai l'indugio. Il suo destin sia noto
 alla mia Clelia alfin. Clelia è romana
 e per la patria anch'essa
 saprà... Ma viene. Ah perché mai s'affretta
 agitata così! L'indegno patto
450alcun le fe' palese.
 
 SCENA III
 
 CLELIA e detto
 
 CLELIA
 Chi mai finora intese
 più enorme scelleraggine e più rea!
 ORAZIO
 Che avvenne?
 CLELIA
                             Ah! Roma in breve
 de' perfidi nemici
455fia misero trofeo.
 ORAZIO
                                   Come!
 CLELIA
                                                  A dispetto
 della giurata fede
 van gli empi ad assalirla.
 ORAZIO
                                                (Oimè, sarebbe
 l'offerto patto mai
 un fraudolento inganno?)  Onde il sapesti?
 CLELIA
460Da Mannio.
 ORAZIO
                         Eterni dei! (Pensoso)
 CLELIA
 È sicuro l'avviso;
 non dubitar del tradimento orrendo.
 ORAZIO
 Ah tardi or di Tarquinio io l'arti intendo.
 Addio. (Risoluto dopo aver alquanto pensato)
 CLELIA
                 Dove?
 ORAZIO
                                A Porsenna.
 CLELIA
                                                        E chi difende
465la patria intanto?
 ORAZIO
                                   È ver. Tu corri a lui;
 a Roma io volo. (In atto di partire)
 CLELIA
                                E per qual via? Ci parte
 da quella il fiume; ed occupa il nemico
 l'unico angusto ponte.
 ORAZIO
                                           Aprirmi il passo
 saprò col ferro. (Come sopra)
 CLELIA
                               Ah no, ti perdi e Roma
470così non salvi.
 ORAZIO
                             Un solitario varco (Pensa un istante)
 dunque si cerchi altrove.
 CLELIA
                                                E quale avrai
 nel varco periglioso
 istromento e sostegno?
 ORAZIO
 Qualunque, un palischermo, un tronco, un ramo,
475tutto è bastante; e, s'ogn'inchiesta è vana,
 l'invitto all'altra sponda
 genio roman mi porterà per l'onda. (In atto di partire)
 CLELIA
 Odi. E degg'io fra questi
 perfidi rimaner?
 ORAZIO
                                  Sì; fin ad ora
480immaturo è il lor fallo e il tuo sarebbe
 nella fuga eseguito, onde potresti
 tu della rotta fede
 parer la prima rea. Dee chi si sente
 un cor romano in petto
485evitar della colpa anche il sospetto.
 Addio. (In atto di partire)
 CLELIA
                 Sentimi.
 ORAZIO
                                    Ah lascia,
 Clelia, che al mio dover...
 CLELIA
                                                Sì, va'; ti cedo
 volentieri alla patria. A lei consacra
 e la mente e la man; ma non scordarti
490né di te né di me. Non già il nemico,
 tu mi fai palpitar. So ben fin dove
 spinger ti può quel che ti bolle in seno
 vasto incendio d'onore. Oh dio, rammenta
 che tuo tutto non sei, (Piange)
495che i tuoi rischi son miei, che sol dipende
 dalla tua la mia vita,
 che comune è il dolor d'ogni ferita.
 ORAZIO
 Sposa... io so... (Da quel pianto
 difendetemi, o dei). Sposa... tu... Roma...
500Addio. (In atto di partire)
 CLELIA
                 Così mi lasci?
 E forse, oh dio, per sempre?
 ORAZIO
                                                      Ah coi nemici,
 Clelia, non congiurar. Di molli affetti
 tempo or non è. Compiamo
 entrambi il dover nostro;
505gli dei curino il resto. Addio. Ti lascio
 fra l'insidie, lo so; ma Clelia assai
 conosco e son tranquillo. Andar mi vedi
 a sfidar mille rischi, è ver; ma sai
 quale ai Romani inspiri
510vigor la patria e assicurar ti dei.
 Per qual ragion dobbiamo
 palpitar l'un per l'altro? Ah no, non soffra
 tale insulto da noi quel che distingue
 i figli di Quirino ardir natio;
515io ti fido al tuo cor, fidami al mio.
 CLELIA
 
    Sì, ti fido al tuo gran core.
 Va', combatti, amato bene,
 e ritorna vincitor.
 
 ORAZIO
 
    Sì, ti fido al tuo bel core;
520e il valor che or te sostiene
 è sostegno al mio valor.
 
 CLELIA
 
    Parti.
 
 ORAZIO
 
                 Addio.
 
 CLELIA
 
                                Morir mi sento.
 
 ORAZIO
 
 Ah ricordati chi sei.
 
 A DUE
 
 Proteggete, amici dei,
525tanto amore e tanta fé.
 
    Quando accende un nobil petto,
 è innocente, è puro affetto,
 debolezza amor non è. (Partono)
 
 SCENA IV
 
  Angusto delizioso ritiro di verdure nell’interno real giardino con istatue, sedili e fontane.
 
 PORSENNA e LARISSA
 
 PORSENNA
 Larissa, io non t'intendo. Ond'è che mesta
530sempre mi torni innanzi? Ond'è che tanto
 ti mostri de' Romani
 fervida protettrice? Ogni momento
 parli di lor. N'amo, ne ammiro anch'io
 l'intrepida costanza,
535il portentoso ardir; ma, quando ad essi
 tal sovrana proccuro
 e tai sudditi a te, fabbrico insieme
 la tua, la lor felicità.
 LARISSA
                                       Felici
 non saranno essi a lor dispetto; ed io
540lo sarò sol nell'ubbidirti.
 PORSENNA
                                               E il grande
 imeneo d'un Tarquinio ed il sublime
 scettro di Roma il giovanil tuo core
 di gloria e di piacer non hanno acceso?
 LARISSA
 È un laccio l'imeneo, lo scettro è un peso.
 PORSENNA
545Eh son queste, o Larissa,
 di rigida virtù massime austere
 piante troppo straniere
 d'una donzella in sen. Chi sa qual sia
 la nascosta cagione
550che le fa germogliar?
 LARISSA
                                         Signor, tu credi...
 forse... ch'io celi... Ah padre...
 PORSENNA
                                                        Obblia per ora
 il padre, il re; parla all'amico e tutto
 scoprimi il cor. So che non sei capace
 d'affetti onde arrossirti e non pretendo
555sacrifizio da te.
 LARISSA
                               Ben grande intanto
 è il donarsi a un Tarquinio.
 PORSENNA
                                                    E perché?
 LARISSA
                                                                         L'odio.
 PORSENNA
 Ah de' Veienti il prence,
 figlia...
 LARISSA
                È vero, all'amico, al padre mio...
 
 SCENA V
 
 CLELIA furibonda e detti
 
 CLELIA
 Fra qual gente, o Porsenna, ove son io?
560Son fra' Toscani o fra gli Sciti? È noto
 il sacro delle genti
 comun dritto fra voi? Fra voi l'inganno
 gloria o viltà si crede?
 V'è idea fra voi d'umanità, di fede?
 PORSENNA
565Qual fantasma improvviso
 t'agita, o Clelia? Onde quell'ira?
 CLELIA
                                                             E come
 tranquilla spettatrice
 soffrir degg'io che, d'una tregua ad onta,
 che, me pegno fra voi, Roma si vegga
570empiamente assalita? E non è reo
 di nero tradimento
 chi macchinò tal frode?
 PORSENNA
                                             È reo d'ingiusta
 temerità chi noi
 può crederne capaci.
 CLELIA
575Assai parlan gli effetti.
 PORSENNA
                                            E gli occhi tuoi
 testimoni ne son?
 CLELIA
                                    No; ma purtroppo
 all'orecchio mi giunse.
 PORSENNA
                                            E su la fede
 d'un incerto romor tu noi condanni?
 CLELIA
 È l'avviso...
 PORSENNA
                        È fallace.
 CLELIA
580Il tuo duce...
 PORSENNA
                          Io conosco.
 CLELIA
 E pur...
 PORSENNA
                 Clelia, ah non più. Per ora al troppo
 credulo sesso, al giovanile ardore,
 della patria all'amore,
 bello ancor quando eccede, i tuoi perdono
585mal consigliati impetuosi detti;
 ma in avvenir rifletti
 che ad altri ancor la propria gloria è cara
 e a giudicar con più lentezza impara.
 
    Sol del Tebro in su la sponda
590non germoglia un bell'orgoglio,
 d'alme grandi al Campidoglio
 sol cortese il ciel non fu.
 
    Altre piagge il sol feconda;
 v'è chi altrove il giusto onora;
595scalda i petti altrove ancora
 qualche raggio di virtù. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 CLELIA e LARISSA
 
 LARISSA
 Troppo, amica, eccedesti.
 Come creder potesti autor di tanta
 perfidia il padre mio?
 CLELIA
                                           Senza sua colpa
600non può Tarquinio...
 LARISSA
                                        È qui Tarquinio il duce,
 non il sovran; sì temeraria impresa
 non tenterà. Conosce il padre e intende
 che l'odio suo per sempre
 si renderia con l'attentato indegno,
605o vinto o vincitor.
 CLELIA
                                   Ma, principessa,
 vien da Mannio l'avviso.
 LARISSA
                                               Un sogno, un'ombra
 basta a turbar d'un fido amico il core.
 Credimi, ei s'ingannò.
 CLELIA
                                            Lo bramo; e sento
 quanto poco è distante
610dal credere il bramar.
 LARISSA
                                           Deh più coi vani
 spaventi tuoi non tormentar te stessa.
 CLELIA
 (Orazio, oh dio, partì!)
 LARISSA
                                            Mannio s'appressa.
 
 SCENA VII
 
 MANNIO e dette
 
 CLELIA
 Ah prence amico, il tuo soverchio zelo
 a quai rischi m'espose! Io su l'avviso
615che creduto ho sicuro...
 MANNIO
                                             E qual ragione
 dubbio, o Clelia, or tel rende?
 CLELIA
 Che!
 LARISSA
             Dunque è ver?
 MANNIO
                                          Purtroppo.
 CLELIA
                                                                Oimè! Ma falsa
 sarà forse la voce.
 MANNIO
                                   Ah no. Di tutto
 m'assicurai presente.
 LARISSA
                                          Oh frode!
 CLELIA
                                                              E sono...
 MANNIO
620E son l'etrusche schiere
 già inoltrate all'assalto.
 CLELIA
                                            E i difensori...
 MANNIO
 E i difensori il passo
 abbandonando vanno.
 CLELIA
                                           E il ponte...
 MANNIO
                                                                  E il ponte
 forse è già superato.
 CLELIA
                                        E Roma...
 MANNIO
                                                            E Roma
625forse già fra catene
 soffre dal vincitor l'ultimo scorno.
 CLELIA
 Oh patria! Oh sposo! Oh sventurato giorno!
 MANNIO
 Ove corri?
 LARISSA
                       Ove vai?
 CLELIA
 Se alla romana libertà prescritto
630in questo dì gli dei
 hanno il suo fin, vado a finir con lei. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 LARISSA e MANNIO
 
 LARISSA
 Seguila, o prence.
 MANNIO
                                   Oh dio!
 E mi scacci così? Ma qual mio fallo
 sì odioso a te mi rende?
 LARISSA
635La pietà, che ho di Clelia,
 odio per te non è.
 MANNIO
                                   Ma è più crudele
 l'indifferenza tua.
 LARISSA
                                    Non è... T'affretta;
 Clelia è già lungi.
 MANNIO
                                   Ah che purtroppo intendo
 l'infelice mio stato.
 LARISSA
                                      (E pur s'inganna).
640Come? Ancor non partisti?
 MANNIO
                                                    Addio, tiranna. (Partendo)
 LARISSA
 Senti.
 MANNIO
               Che vuoi?
 LARISSA
                                    (Mi fa pietà. Comprenda
 almen che entrambi, oh dio, siamo infelici,
 ch'io l'amo... Ah non sia ver).
 MANNIO
                                                       Parla; che dici?
 LARISSA
 
    Dico che ingiusto sei
645e che del par m'affanni,
 se d'odio mi condanni,
 se chiedi amor da me.
 
    Me condannar non dei,
 giacché ignorar non puoi
650che degli affetti suoi
 arbitro ognun non è. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 MANNIO solo
 
 MANNIO
 Ma fra tutti gli amanti
 chi sfortunato è al par di me? Che un labbro
 giuri d'amar, mentre l'ignora il core,
655or nel regno d'amore
 è linguaggio comun; quasi divenne
 un cortese dover. L'unica forse
 solo incontrar degg'io
 alma di gel che, se mercede io bramo,
660né men per ingannar vuol dirmi: «Io t'amo».
 
    Vorrei che almen per gioco
 fingendo il mio bel nume
 mi promettesse il cor.
 
    Chi sa che a poco a poco
665di fingere il costume
 non diventasse amor. (Parte)
 
 SCENA X
 
  Fabbriche antiche alla riva toscana del Tevere, sopra di cui il ponte Sublicio che nasconde uno de’ suoi capi alla sinistra fra gli antichi nominati edifici e lascia visibile l’altro su l’opposta sponda del fiume. Prospetto di Roma in lontano.
 
 All’aprirsi della scena si vedono fuggir verso di Roma i pochi custodi del ponte, sorpresi dall’arrivo de’ toscani che in ordine lentamente s’inoltrano dalla sinistra sul medesimo. Indi ORAZIO entrando dalla destra sul ponte abbandonato s’avanza dicendo:
 
 ORAZIO
 No, traditori, in ciel di Roma il fato
 non è deciso ancor. Sarà bastante
 a punir scelleraggine sì nera
670Orazio sol contro l'Etruria intera. (Affronta i nemici a mezzo il ponte; si combatte, si vedono cader nel fiume uccisi ed urtati alcuni de’ toscani che finalmente cedendo lasciano libero il ponte. Orazio allora tornando alcun passo indietro parla a’ suoi)
 Ecco il tempo, o Romani. Ardir; gli dei
 pugnan per noi. Quest'unico si tronchi
 passo a' nemici. Alle mie spalle il ponte
 rovinate, abbattete. Il ferro, il fuoco
675s'affretti all'opra. Intanto il varco io chiudo
 e il petto mio vi servirà di scudo.
 
 SCENA XI
 
 TARQUINIO e detto
 
 Mentre Orazio si trattiene a dar gli ordini pel taglio del ponte e che si veggono venire soldati e guastatori con faci ed istromenti per eseguirlo, escono su l’innanzi dalla sinistra i toscani fuggitivi seguiti da Tarquinio che con spada alla mano gli arresta dicendo:
 
 TARQUINIO
 Dove, o codardi? Ah chi vi fuga almeno
 volgetevi a mirar. Colà del vostro
 vergognoso spavento (Accennando Orazio)
680vedete la cagion. Macchia sì nera
 deh a cancellar tornate. Ah non pervenga
 ai secoli remoti
 tale infamia di voi. Non si rammenti
 un dì per vostro scorno
685che fu da un ferro solo
 un esercito intero oggi respinto,
 che un sol roman tutta l'Etruria ha vinto. (Preceduti da Tarquinio corrono i toscani a rinnovar l’assalto rientrando per la sinistra. Intanto avendo già le fiamme cominciato ad impadronirsi della parte opposta del ponte, si veggono alcuni romani sollecitare Orazio a mettersi in sicuro, a’ quali risponde)
 ORAZIO
 No, compagni, io non voglio
 il passo abbandonar. Finché non sia
690questo varco interrotto, in me ritrovi
 un argine il Toscano. Alle mie spalle
 franchi il ponte abbattete.
 Non vi trattenga il mio periglio. Abbiate
 cura di Roma e non di me. Del cielo
695io col favore antico
 saprò... L'opra s'affretti; ecco il nemico. (Orazio va ad incontrare i toscani a mezzo il ponte e si trattiene combattendo. Intanto crescono e s’impadroniscono le fiamme di quella parte del medesimo che appoggia sulla sponda romana, la quale cedendo finalmente alla violenza del fuoco, a’ colpi ed agli urti de’ numerosi guastatori, stride, vacilla e ruina. Spaventati i toscani dal terribile fragore della caduta, precipitosamente fuggendo lasciano vuoto il ponte e su la parte intera di quello si vede Orazio rimanere intrepido e solo)
 
 SCENA XII
 
 CLELIA, frettolosa e spaventata, e detto
 
 CLELIA
 Ah da' cardini suoi
 par che scossa la terra... Oimè, che miro!
 Orazio... Oh dio!... Per quale
700impensata sventura...
 ORAZIO
 Rendi grazie agli dei; Roma è sicura.
 CLELIA
 E tu?... Ma perché tien così nel fiume
 fisso lo sguardo mai!
 ORAZIO
 Padre Tebro...
 CLELIA
                             Ah che fai? (Spaventata)
 ORAZIO
                                                    L'armi, il guerriero,
705per cui libero ancora il corso sciogli,
 nel placido tuo sen propizio accogli. (Balza nel fiume)
 CLELIA
 Misera me! (Corre alla riva del fiume)
 
 SCENA XIII
 
 CLELIA nell’indietro alla sponda del fiume, inquieta della sorte d’Orazio. TARQUINIO nell’innanzi senza vederla
 
 TARQUINIO
                          Barbaro fato! Ah dunque
 a danno de' Tarquini il tuo furore
 ancor non si stancò? Di mie speranze
710il più bel filo ecco reciso. Incontro
 per tutto inciampi. Or qual cagion condusse
 Orazio all'altra sponda? a' miei fedeli
 come invisibil fu? Seppe il disegno
 o lo sognò? Son fuor di me. Si pensi
715or de' disastri a far buon uso. Il patto
 violato da me sembri a Porsenna
 perfidia de' Romani e ne sia prova
 il passaggio d'Orazio.
 CLELIA
                                          Alfin la mia
 moribonda speranza or si ravviva;
720la patria si salvò, lo sposo è a riva.
 Qui Tarquinio! S'eviti; i miei contenti (Si veggono l’un l’altro)
 non turbi un tale oggetto. (In atto di partire)
 TARQUINIO
                                                  Ah Clelia ingrata,
 perché fuggi da me?
 CLELIA
                                        Perché non curo
 di vederti arrossir.
 TARQUINIO
                                     Come è capace
725mai di tant'odio il tuo bel cor?
 CLELIA
                                                         T'inganni.
 Io t'odierei felice; or ti disprezzo
 traditor sfortunato.
 TARQUINIO
                                      Ah tanti oltraggi
 la fedeltà della mia fiamma antica
 non merita da te, bella nemica.
 CLELIA
 
730   Io nemica! A torto il dici.
 Gli hai nell'alma i tuoi nemici;
 e con te l'altrui rigore
 or sarebbe crudeltà.
 
    Soffre pena assai funesta
735un malvagio a cui non resta
 altro frutto che il rossore
 della sua malvagità. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 TARQUINIO solo
 
 TARQUINIO
 Ma qual mai sì possente
 incognita magia tutto a costei
740dà l'impero di me! Fin co' disprezzi
 costei m'inspira amor. Clelia ho nell'alma,
 Clelia ho nel cor, Clelia ho sugli occhi. In mezzo
 a tante mie speranze
 sempre la cerco, a tante cure in mezzo
745sempre la trovo e sempre,
 ovunque io volga il passo,
 col pensier la dipingo in ogni sasso.
 E se Porsenna mai, le sue conosco
 generose follie,
750rotta la tregua or la rendesse? Ah questo
 colpo si eviti. Andiamo
 Clelia a rapir... Che fai Tarquinio! È d'uopo
 prepararsi all'impresa. Armi e destrieri
 per trafugar la preda in loco ascoso
755vadansi prima a radunar... Ma intanto
 se Porsenna eseguisse... È vero. A lui
 prima conviene... Ah mentre a un rischio accorro,
 l'altro trascuro; e in due
 dividermi non posso. Ecco il riparo.
760Avverta un foglio il mio fedele e, mentre
 ei si appresta al bisogno, al re poss'io
 volar frattanto. Ardua è l'impresa e forse
 della sorte al favor troppo io mi fido;
 ma chi trema del mar dorma sul lido.
 
765   Non speri onusto il pino
 tornar di bei tesori
 senza varcar gli orrori
 del procelloso mar.
 
    Ogni sublime acquisto
770va col suo rischio insieme;
 questo incontrar chi teme
 quello non dee sperar.
 
 Fine dell’atto secondo